mercoledì 14 ottobre 2015

Corte di Giustizia UE: costi e diritti dei cittadini per accedere alle informazioni ambientali

La Corte di Giustizia della UE accogliendo in gran parte le tesi della Avvocatura UE (di cui avevo trattato QUIha fatto chiarezza, con la sentenza dello scorso 6 ottobre 2015 causa C-71/14, su quali siano i costi addebitabili al cittadino che chiede di accedere alle informazioni ambientali in possesso della Pubblica Amministrazione degli Stati membri.

La questione trattata dalla sentenza riguarda una domanda pregiudiziale posta alla Corte di Giustizia al fine di chiarire l’interpretazione di due norme della Direttiva UE 2003/4 sull’accesso del pubblico all'informazione ambientale (di seguito Direttiva, per il testo vedi QUIsecondo i principi della Convenzione di Aarhus sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale.

La sentenza ha chiarito che i costi addebitabili al cittadino per accedere alle informazioni ambientali che richiede devono essere ragionevoli e proporzionati alle sue condizioni economiche. A tali costi non possono essere aggiunti i costi che la Pubblica Amministrazione sostiene per costituire e gestire le banche dati di informazioni ambientali. Questa distinzione tradotta nella normativa italiana significa che al cittadino non possono essere addebitati i costi che la Pubblica Amministrazione sostiene per pubblicare i dati, gli atti e le informazioni in base alla normativa sul c.d. accesso civico (vedi QUI e QUI). Infine il cittadino deve avere il diritto di ricorrere contro le omissioni della Pubblica Amministrazione senza costi e difficoltà burocratiche eccessive. 

Questa in sintesi la sentenza che merita però una analisi più approfondita che sviluppo di seguito in questo post…..   



LE NORME EUROPEE DA INTERPRETARE
L’articolo 5, paragrafo 1, della Direttiva stabilisce il principio secondo il quale l’accesso a tutti i registri o elenchi pubblici dell’informazione ambientale e l’esame in situ di siffatta informazione sono gratuiti.

L’articolo 5, paragrafo 2, della Direttiva consente tuttavia alle autorità pubbliche di applicare una tassa per la fornitura dell’informazione ambientale su richiesta, purché tale tassa non superi un importo ragionevole.

L’articolo 6 della Direttiva richiede agli Stati membri di procedere al riesame, in sede amministrativa e giurisdizionale, delle decisioni delle autorità pubbliche relative all’accesso all’informazione ambientale.


LE QUESTIONI DA INTERPRETARE SULLA BASE DELLE NORME EUROPEE
Sono state sollevate questioni in ordine ai seguenti punti:
1. se, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, un’autorità pubblica possa recuperare parte del costo per la manutenzione di una banca dati che essa utilizza per rispondere a richieste di particolari tipi di informazione ambientale e i costi generali attribuibili alle ore lavorative del personale,
2. se gli articoli 5, paragrafo 2, e 6 ostino a una norma nazionale secondo la quale un’autorità pubblica può applicare una tassa per la fornitura dell’informazione ambientale che “(…) non eccede l’importo che l’autorità pubblica ritiene essere ragionevole”, qualora la decisione dell’autorità pubblica in merito al concetto di «importo ragionevole» sia soggetta a riesame in sede amministrativa e giurisdizionale come previsto dalla legislazione nazionale.



I PRINCIPI AFFERMATI DALLA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

Distinguere la informazione ambientale dall’accesso all’atto e/o al documento
L’articolo 5 paragrafi 1 e 2 distinguono tra la pubblicazione di  registri e banche dati generali sulle informazioni ambientali in possesso di una Amministrazione Pubblica dall’accesso alla singola informazione richiesta  specificamente dal cittadino e/o associazione comitato.  La pubblicazione deve essere gratuita, l’accesso  può prevedere un costo da pagare secondo i successivi principi di seguito descritti.  La pubblicazione è obbligatoria a prescindere dalla richiesta del cittadino associato o singolo, l’accesso solo su richiesta.  Quindi secondo la Corte di Giustizia:  “Sarebbe contraddittorio se le autorità pubbliche potessero ripercuotere tali spese sulle persone che hanno presentato richieste di informazione sul fondamento dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/4, mentre la consultazione in situ delle informazioni figuranti nella banca dati è gratuita conformemente all’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva.”


Definizione larga di accesso a registri e banche dati
L’accesso alla singola informazione e/o documento differisce dall’atto di raccogliere, tenere e diffondere informazioni ambientali o di comunicare al pubblico dove trovare tali informazioni, 


Definizione di costi relativi alla «fornitura» dell’ informazione ambientale
I costi relativi alla «fornitura» dell’ informazione ambientale, esigibili in base all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/4, comprendono:
1. le spese postali e di fotocopia,
2. i costi imputabili al tempo dedicato dal personale dell’autorità pubblica interessata a rispondere ad una richiesta di informazione individuale, compreso, segnatamente, il tempo per cercare le informazioni in questione e porle nel formato richiesto.

I costi di cui al punto 2, secondo la Corte di Giustizia, non risultano dall’istituzione e dalla manutenzione dei registri e degli elenchi dell’informazione ambientale detenuta né dagli uffici per la consultazione di tali informazioni. Tale conclusione è peraltro confortata dal considerando 18 di tale direttiva secondo cui, in linea di principio, le tasse non possono eccedere i «costi effettivi» di produzione del materiale in questione.
Tenuto conto dell’utilizzo della nozione di «costi effettivi» in detto considerando, occorre constatare che spese generali, prese adeguatamente in considerazione, possono, in linea di principio, essere incluse nel calcolo della tassa prevista dall’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/4. Infatti, come ha rilevato il giudice del rinvio, l’inclusione delle spese generali nel calcolo di tale tassa corrisponde ai principi contabili abituali. Tuttavia, tali spese possono essere incluse nel calcolo di detta tassa solo in quanto sono imputabili ad un elemento di costo rientrante nella «fornitura» dell’informazione ambientale.


Definizione di costo ragionevole della fornitura di informazioni ambientali
La  Corte di Giustizia ribadisce:  “che si deve escludere qualsiasi interpretazione della nozione di «importo ragionevole» che possa produrre un effetto dissuasivo sulle persone che intendono ottenere informazioni o limitare il diritto delle medesime di accedervi (v., in tal senso, sentenza Commissione/Germania C‑217/97, EU:C:1999:395, punto 47)”.


Come il costo applicato alla fornitura delle informazioni ambientali può non essere considerato dissuasivo per il cittadino che vuole accedere
Secondo la Corte di Giustizia: “Per valutare se una tassa applicata in virtù dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/4 abbia effetto dissuasivo, occorre tener conto tanto della situazione economica del richiedente l’informazione quanto dell’interesse generale legato alla tutela dell’ambiente. Tale valutazione non può, quindi, essere effettuata unicamente rispetto alla situazione economica dell’interessato, ma deve basarsi anche su un’analisi obiettiva dell’importo di tale tassa. In tale misura, detta tassa non deve oltrepassare le capacità finanziaria dell’interessato né apparire, in ogni caso, oggettivamente irragionevole”.


Il costo ragionevole per la fornitura delle informazioni ambientali secondo l’Avvocatura UE
Nel corso del dibattimento che ha portato alla sentenza della Corte da UE Giustizia, qui esaminata, l’Avvocatura UE  ha precisato che,  in base ai  parametri di diritto UE, è ragionevole la tassa che:
1. viene fissata in base a fattori obiettivi che sono conosciuti e possono essere controllati da un terzo;
2. viene calcolata indipendentemente dal soggetto che chiede l’informazione e dal fine per cui tale informazione è richiesta;
3. viene fissata a un livello tale da garantire gli obiettivi del diritto di accesso all’informazione ambientale su richiesta e quindi non dissuade le persone dal chiedere l’accesso né limita il loro diritto di accesso;
4. non è superiore a un importo adeguato al motivo per cui gli Stati membri sono autorizzati ad applicare tale tassa (ossia, la presentazione da parte di un membro del pubblico di una richiesta di fornitura dell’informazione ambientale) e direttamente correlato all’atto di fornire tale informazione.
5. non dipende dal soggetto che richiede la fornitura dell’informazione né il motivo di tale richiesta, questo perché la richiesta di fornitura dell’informazione non comporta l’obbligo per il richiedente di dichiarare il proprio interesse 
6. tiene conto del fatto che l’accesso all’informazione ambientale, attraverso la fornitura di tale informazione, contribuisce a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il dibattito e la partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l’ambiente 
7. include i costi delle ore lavorative del personale impiegate per la ricerca e per la produzione dell’informazione richiesta nonché il costo della produzione di quest’ultima nella forma richiesta (che può essere di vari tipi). Tuttavia, precisa l’Avvocatura UE,  non è ammissibile che una tassa sia anche finalizzata a recuperare le spese generali quali il riscaldamento, l’elettricità e i servizi interni. Sebbene una parte di tali spese generali possa essere effettivamente attribuita al processo di creazione delle condizioni che consentono all’autorità di dare accesso all’informazione ambientale su richiesta, dette spese (al pari dei costi per il mantenimento e per l’accesso ai registri e agli elenchi dell’informazione ambientale) non sono sostenute unicamente in connessione con la fornitura dell’informazione in risposta a una richiesta specifica.


Deve essere garantito al cittadino di ricorrere ai giudici nazionali contro decisioni delle Autorità Pubbliche degli Stati membri che stabiliscano costi di accesso in contrasto con i principi di diritto UE
Infine la Corte di Giustizia  afferma che l’articolo 6, paragrafi 1 e 2, della Direttiva impone allo Stato membro di garantire lo svolgimento di un riesame (dapprima) in sede amministrativa e (successivamente) in sede giurisdizionale della questione se la decisione di un’autorità pubblica sul concetto di tassa ragionevole sia conforme al significato del termine «ragionevole» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della Direttiva, stabilito autonomamente nell’ambito del diritto dell’Unione. Pertanto, lo Stato membro deve garantire che la procedura di riesame, dallo stesso prevista, consenta di valutare la ragionevolezza di una particolare tassa in base al criterio di ragionevolezza stabilito, per tasse di tal genere, dal diritto dell’Unione. Spetta al giudice nazionale competente interpretare il diritto nazionale in modo tale da prevedere detto riesame.








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