giovedì 26 giugno 2014

Legge elettorale: il vero errore è la democrazia dei cittadini rimossa.

La discussione sulla riforma elettorale in Parlamento è tutta dentro il paradigma della “governabilità”; ma la governabilità senza una adeguata rappresentanza non raggiunge proprio l'obiettivo dei decisionisti: decisioni rapide ed efficienti....ovviamente se si rimane nel quadro democratico....... 

Allo stesso tempo è un errore pensare che la rappresentanza si salvi solo con una difesa del proporzionale o del bicameralismo cioè con una difesa tutta dentro il vecchio quadro della democrazia rappresentativa del 900 .



LA NUOVA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE 
Oggi perfino la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha dovuto riconoscere che, nelle democrazie moderne, la attività discrezionale della P.A. comporta che ogni singola amministrazione non sia più  un centro d’imputazione attributario della cura di uno specifico e ben definito interesse, ma è sempre più spesso una figura soggettiva chiamata ad operare scelte dispositive (distributive) di risorse limitate, dopo aver condotto una propedeutica valutazione di compatibilità fra – plurimi - interessi pubblici, e fra questi e quelli dei privati, in relazione ai vari, possibili usi di tali risorse, ciascuno corrispondente ad un dato interesse. Aggiungo che  in tali interessi da confrontare sono ormai unanimemente compresi anche quelli c.d. diffusi (ad esempio quelli ambientali e di tutela della salute o della informazione trasparente etc.), basti vedere  la normativa, comunitaria e nazionale,  sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del  pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale e la trasparenza.  

Quindi il vero problema se vogliamo salvare rappresentanza e decisione è quello di affiancare alla futura legge elettorale istituti di democrazia partecipativa riconosciuti formalmente. 


LE RIMOZIONI NEL DIBATTITO SULLA RIFORMA DELLA LEGGE ELETTORALE
Quello che mi preoccupa non è solo il dibattito sul merito della riforma della legge elettorale (con i suoi premi di maggioranza eccessivi, la impossibilità di dare le preferenze ai singoli candidati, la fine del bicameralismo), ma  anche e soprattutto l’assenza di una discussione vera e di proposte precise sull’allargamento verso il basso, verso i cittadini singoli e associati fuori dagli schemi partitici, dei processi decisionali e del modello di governo.



LA CULTURA DECISIONISTA…..NON PRODUCE DECISIONI MA ACCELERA LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA
Insomma più che la legge elettorale mi preoccupa la pseudo cultura decisionista che in realtà nasconde un dato di fatto: oggi nelle società delle reti informative senza consenso reale costruito sui territori non si realizza nulla o quasi.
Ad esempio è stato presentato all’inizio dello scorso mese di febbraio l’ottavo Rapporto sulla attuazione della legge obiettivo quella sulle c.d. opere pubbliche strategiche. Dal Rapporto risulta che solo il 13% di queste opere  è stato ultimato rispetto alle scadenze previste e, sempre secondo, il Rapporto la ragione di questo fallimento sta nelle procedure, nei criteri di selezione delle opere  non certo nei conflitti locali.
O vogliamo parlare dei dati della Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici secondo la quale 6 gare su dieci finiscono nel nulla relative alle opere pubbliche con finanza di progetto?  O vogliamo ancora parlare dei 5 miliardi di euro di opere pubbliche bloccate dai vincoli del Patto di Stabilità per gli enti locali (dati Ance: Associazione costruttori edili)?
E comunque se vogliamo parlare seriamente di conflitti forse al teorema del “non nel mio giardino” dovremmo in buona parte sostituire quello “non nel mio mandato amministrativo”. Infatti secondo il rapporto 2013 del  Nimby Forum [[1]]   sui conflitti che bloccano opere di interesse pubblico ben il 30% sono contestate da Amministrazioni Comunali e non da comitati di cittadini.

Ma forse a forza di scaricare la responsabilità delle non decisioni sui conflitti,  si vuole raggiungere l’obiettivo vero che non è quello dell’abolizione del Senato o del premio di maggioranza ma di costruire una democrazia autoritaria e plebiscitaria fondata sul leaderismo personale e sulla rimozione emarginazione e a volte criminalizzazione del conflitto.



RECUPERARE LA RAPPRESENTANZA PER RAFFORZARE LE ISTITUZIONI DI GOVERNO
Invece che puntare tutto sulla “cultura della decisione” bisognerebbe puntare sul recupero della rappresentanza. I dati statistici  sono li a dimostrare questa esigenza,  come una recente ricerca del Censis su “I valori degli italiani. 2013”,  secondo la quale:”oggi il 67% degli italiani non si sente rappresentato da nessuno”, istituzioni o partiti cambia poco.  A conferma dello spessore della questione  recupero della rappresentanza si veda il secondo rapporto "Late lessons from early warnings" ([2]) diffuso il 23 gennaio 2013, secondo il quale è crollata la fiducia dei cittadini nei Governi (legati a politiche ambientali a breve termine) e nelle aziende, troppo legate al profitto a scapito dell'ambiente.      

Eppure studi autorevoli dimostrano che i cittadini non sono presi, almeno nella loro stragrande maggioranza da una sorta di anarchismo distruttivo verso le istituzioni. Si vedano i vari  Rapporti della Luiss  ( “Generare classe dirigente” Lussi University Press-Il Sole 24 ore dal 2007 in poi), dai quali emerge che  la maggioranza degli italiani ritiene che le classi dirigenti dovrebbero avere
1. visione strategica
2. competenza
3. senso di responsabilità e di legalità nella gestione della cosa pubblica.

In altri termini l’auspicio che emerge dalla maggioranza degli italiani è che sia in particolare il potere politico istituzionale a contare di più domani rispetto ad oggi, evidenziando l’aspettativa sociale di un ritorno dell’autorità come guida.

Ma tali messaggi sono interpretati, in una logica totalmente  autoreferenziale da parte dei ceti dirigenti come dimostra il sopra riportato dibattito sulla riforma della legge elettorale.  Un modello di governo degli attuali ceti dirigenti (nazionali ma anche comunitari) espressione di chi vuole governare senza popolo e quindi senza politica , come afferma Jacques Ranciere in “L’odio per la democrazia” :  “dichiarandosi semplici gestori delle ricadute locali e della necessità storica mondiale i nostri governi si industriano a eliminare il supplemento democratico:  inventando istituzioni sovra statali non responsabili direttamente verso il popolo, depoliticizzando le questioni politiche sistemandole in luoghi non luoghi che non lasciano spazio alla invenzione democratica  di luoghi polemici “;  “così “ conclude lo studioso francese “ le elite statali e i loro esperti possono intendersela tranquillamente tra loro”.

L’analisi di Ranciere , che condivido pienamente, spiega l’accanimento verso un ruolo attivo delle comunità locali dimostrato in questi anni dai governo nazionali ma spesso anche locali.



DEMOCRAZIA DEI CITTADINI – RUOLO DEL LOCALE – PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
Tutto ciò dimostra la assoluta necessità che il tema del recupero della rappresentanza entri nel dibattito della riforma istituzionale compreso quello sulla riforma delle competenze stato regioni. Esiste una esigenza di definire meglio la ripartizione delle competenze ma questo non può passare attraverso un nuovo centralismo statalista; centralismo che rimuove una questione fondamentale che emerge da tutti gli studi sui conflitti ambientali compresi quelli da fonte confindustriale[3] e cioè che la centralizzazione delle decisioni rimuovendo il livello locale del consenso rimuove anche la concertazione del costo sociale e la sua inclusione tra i costi tecnici di realizzazione di un’opera, quale questione fondamentale per prevenire i conflitti  

Anche in questo caso i principi che soccorrono sono quelli della sussidiarietà orizzontale e verticale previsti dal Trattato UE (articolo 5) e dalla nostra Costituzione (articolo 118).
In particolare una applicazione specifica della sussidiarietà è nel principio di correzione alla fonte dei danni ambientali (paragrafo 2 articolo 174 Trattato) la cui applicazione richiede infatti la necessità di chiarire il livello istituzionale adeguato per garantire la tutela necessaria per impedire un danno all’ambiente o un’ impoverimento potenziale delle sue risorse ( vedi sentenza Corte di Giustizia del  9/7/1992 causa  C-2/1990). Correzione alla fonte richiede in particolare un legame con concetti e  strumenti quali quello di norma di qualità ambientale, di specificità del sito più che di standard di emissioni astratti slegati dalle specificità territoriali e/o locali nonché del ciclo produttivo interessato.

Ecco che strumenti di governo delle politiche ambientali, decentramento delle decisioni, prevenzione dei conflitti attraverso il coinvolgimento, informato delle comunità locali, si tengono insieme ……….. quanta distanza dal dibattito che gira in Parlamento sulla riforma elettorale in questi giorni!



[1]  promosso dall'associazione no profit Aris - Agenzia di Ricerche Informazione e Società
[2] Scienza, precauzione, innovazione http://www.reteambiente.it/repository/normativa/17907_rapportoeea_completo.pdf
[3]: "Il punto è la qualità dei progetti: le opere vanno spesso a gara con informazioni e dati insufficienti per una valutazione corretta di costi e benefici da parte della collettività e una analisi tecnico amministrativa carente. Le amministrazioni tendono a risparmiare sulle indagini preliminari ma poi si ritrovano davanti criticità realizzative e contenziosi. La questione del consenso si potrebbe risolvere se solo si informasse al meglio la popolazione e le si desse la opportunità di esprimersi in merito". vicepresidente di Confindustria per  Infrastrutture - Logistica – Mobilità – Corriere della Sera 13 gennaio 2009

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